Mio padre ha gli occhi grandi, scuri e una massa di capelli ricci e neri. Gli stessi di mio fratello.

Ha un viso buono, un corpo molle, le mani gonfie e deformate dalla malattia.

Mio padre è uno che chiacchiera volentieri, scherza e ride in compagnia. Cosi’ sono anche io.

Ama stare a tavola, ama averla piena, imbandita, strabordante di cibo.  Ama strafare perchè una volta si vive e una si muore.

Mio padre e’ amico di tutti, i vicini sono amici e vengono a prendersi il caffe’ la mattina alle 6, prima di andare a lavorare.

Mio padre ha una voce bellissima, canta le canzoni di Claudio Villa o quelle della guerra: “Vivereee senza malinconiaaaa!”

(Non ho mai capito perchè, lui la guerra l’ha vissuta da infante, che ricordo può avere delle canzoni della guerra? )

Mio padre zoppica, ha una gamba più corta dell’altra, effetto di quella misteriosa malattia che combattuta a colpi di cortisone, gli ha

gonfiato le mani e ha cominciato a smontarlo pezzo per pezzo.

Mio padre è bravissimo con le mani.

Ha una bella cassetta di attrezzi, un ripiano dedicato nel ripostiglio pieno di bulloni, di fili, di pezzi di metallo, di batterie.

È il suo regno, il posto dove tutto prende forma, da una casetta con le lucine dentro da mettere nel presepe a prolunghe di legno per le prese, a dispositi selfmade pieni

di transistors e di circuiti.

Mio padre ama i numeri, numeri di qualsiasi tipo.

Gode nel riempire a mano le sue tabelle simil Excel, passa ore a calcolare, matita blu e matita rossa in mano, con infinite somme e sottrazioni, quello che dobbiamo allo

Stato. Gli piace calcolare,  gli riesce talmente facile e gli piace così tanto che lo fa per tutti, amici vicini e parenti lontani.

Lo fa per generosità, non certo per la cassetta di fioroni freschi che arriva puntuale tutti gli anni dal collega riconoscente. Lo fa perchè lui i numeri li ama proprio.

I numeri, la matematica sono l’espressione più alta di struttura, di disciplina, di regole che non possono essere infrante.

É questo forse che mio padre ama più di tutto :

le regole, la disciplina, la struttura, lo spazio recintato delle abitudini e delle consuetudini.  Le matite allineate sul tavolo. La carta intonsa. il pranzo alle 12.30 della

domenica. La cena alle 19.30. 2 tipi di carne nei giorni di festa. Gli scaffali ordinati con il titolo sul dorso di cartone scuro.

Mio padre lavora in ufficio, fa l’impiegato. E’un lavoro che gli si confá forse meglio del lavoro che faceva prima , il capostazione. La salute non gli ha permesso di

continuare, ma forse è meglio così,dice, vuoi mettere la stabilità, l’ordine, e la routine di un lavoro d’ufficio.

Di nuovo, la ruotine, le consuetudine, le abitudini. Quanto gli piacciono, quanto ci sguazza.

I soldi sono fatti di numeri, e mio padre è molto attento ai soldi. Tirchio, diremmo noi. Parsimonioso, dice lui.

Ne aveva visti parecchi di soldi, nella sua infanzia. Il figlio del padrone, sul calesse col cavallo. Le paste a mammà la domenica, il giro in mezzo ai campi con papà a

prendersi i benedicite dei mezzadri .

Poi, d’improvviso il rovescio, e un’ altra vita. Niente calesse, il treno tutte le mattine per Bari, lavora, torna a casa.

D’improvviso lezione imparata, e non ci deve mai mancare niente , impresso nella testa.  NON CI DEVE MANCARE MAI NIENTE.

Risparmiare, risparmiare, risparmiare per i tempi duri, per il futuro.

Risparmiare, centellinare. I conti in banca e una piccola cassaforte blu con una combinazione, si, anch’essa fatta di numeri.

Come ci incuriosisce quella piccola cassaforte, non ne sapremo mai la combinazione.

Un giorno alla settimana, sul piano a scomparto del mobiletto del bar, si contano le banconote e le si divide religiosamente: questo per le scarpe, questo per il dentista.

Un giorno alla settimana, sul tavolo della cucina, la piccola cassaforte si apre.

Gli spiccioli finalmente liberi rotolano verso le nostre dita curiose, ma una voce ci intima di non toccarli, non dispenderli.

” Lliiv i man da sop i solt”.

Anche 100 lire, nel grande schema delle regole, ha la sua importanza, un passo in più che ci allontana dalla possibilità di perdere tutto, di nuovo.

Mio padre ha un dialetto senza vocali e con molte consonanti, un dialetto ridicolo alle nostre orecchie di teenagers crudeli e a cui siamo abituati ma di cui ci vergognamo anche un pò.

Un dialetto da contadini, da paese di contadini, ci diciamo.

Mio padre ama il suo paesello di origine, gli ricorda tempi felici, i tempi della balia asciutta, i tempi del figlio del padrone, del calesse, gli amici, la vita da scapolone tra

concerti, teatri, e giocate a carte.

Non gli piace questa cittadina dove vive, con questa gente altolocata, moderna. (Questa cittadina è anche un paese di contadini ma non lo ammette, e si pensa migliore).

Non ci sia abitua, non ci si trova.

Tenta di farcelo piacere in tutti i modi,il paesello contadino, ci invoglia con le visite, i Festival della Tammorra tutti gli anni, Maddalena, i parenti, ma senza successo.

A noi, “cittadini” non piacera’mai.

(Mio padre in quel paese piccolo, che odora di terra e di Murgia, non ci tornera’ mai a vivere e sarà uno dei suoi sogni irrealizzati)

Mio padre ama le lingue, si cimenta pure a parlarle per farsi capire. Senza molto successo.

Ama viaggiare, guida intere spedizioni di ferrovieri verso la Francia e bimbi verso le colonie.

Mio padre ama il Concerto di Capodanno da Vienna ogni primo dell’anno alle 12.00.

Ha un giradischi, e tanti cofanetti De Agostini con le raccolte : Le migliori opere, Le migliori arie di Beniamino Gigli, James Last , Le migliori sinfonie di Toscanini.

Mio padre sa di fatti internazionali, di borse, e di cose che vede in tivvù o che le legge sul giornale tutti i giorni.

É curioso ed eccitato come un bambino per tutto ciò che è tecnologico.

Arriva entusiasta per un grande grosso elaboratore dati che si è preso metà della sua stanza d’uffficio ed è strabiliante : inserisci una scheda e in mezz’ ora fa calcoli

che un impiegato farebbe in una settimana. Incredibile.

Compúter, dice, lo chiamano gli americani.

Si, compúter , con l’accento sulla U. Questa macchina è il futuro, dice.

Mio padre tutto ciò che sa, e non è poco, l’ha imparato sul campo.

Tutto ciò che sa gli viene dalla sua intelligenza acuta e dalla curiosità di imparare.

Mio padre vuole per i suoi figli una vita migliore di quella che ha avuto lui.

Non vuole incertezze, fatica, cose da imparare sul campo, errori, e fallimenti. Non vuole tempi difficili, rischi.  Vuole per loro una vita solida, sicura. senza scossoni.

Si devono sistemare bene, dice, con lavori seri, sicuri, stabili, magari prestigiosi a seconda delle inclinazioni di ognuno di loro.

Una educazione di contorno, le lingue, la musica. Un matrimonio, figli.

La vita borghese, e che male c’é ?

Lavorare,quindi, e provvedere che questi obiettivi si realizzino. Fare un pisolino in macchina aspettando che finisca la lezione  di pianoforte.

Sul piano a scomparto del mobiletto da bar, si aggiunge un altro mazzetto di banconote risparmiato, quello del viaggio di istruzione in Inghilterra per studiare le lingue per la più grande.

Sacrificarsi, risparmiare, provvedere, e quando loro saranno sistemati penseremo a noi, dice.

Mio padre pensa alla pensione, un magico momento in cui ricomprare con orgoglio quello che gli è stato tolto con la forza, coltivare la terra, sentirla tra le dita, e

il tempo a fare la Settimana Enigmistica, la dichiarazione delle tasse per tutto il vicinato, e visitare i suoi figli lontani.

(Mio padre alla pensione non ci arriverà mai. Se ne andrà a 55 anni,distrutto da una misteriosa malattia che dall’infanzia lo ha tenuto

ostaggio per tutta la vita, mutilato nel corpo e nell’ anima,nel limbo della depressione, della rabbia psicotica e degli antidolorofici).

Mio padre è padre, certo, ma anche figlio del suo passato e di come è stato cresciuto.

Ama le regole, lo atterriscono i cambiamenti, ha paura di perdere il controllo,

Ama la gente, perchè ha il terrore di rimanere solo.

Grandi entuasiasmi e di terribili attacchi di ira. Felice come un bambino per un nuovo piano, devastante nella sua rabbia quando il piano non funziona.

Fa fatica a esprimere emozioni in maniera equilibrata, non ce la fa.

Il controllo rigido e l’autorità è quello che in cui lui riconosce forza, la fragilità e le emozioni sono per definizione debolezza.

Questo è il suo vissuto, questa è la lezione di vita che ha imparato.

Mio padre ha paura di sentirsi inferiore, inadeguato, debole.

E, tragedia ancora più grande, non lo saprà mai, nè troverà mai il coraggio di dire a chi ama: “Queste sono le mie debolezze, aiutami”.

Comunicare, in questo quadro é doloroso, difficile, se non impossibile.

Mio padre questo non lo saprà mai.

Morirà prima che la distanza, il tempo, la maturità e la vita che scorre appiattisca la curva dell’incomprensione e ci permetta di invertire i ruoli.

Certe cose si capiscono solo con la distanza, con il tempo, e con la vita che scorre, appunto.

Mio padre ama il mare.

Entra in acqua, grande e grosso ma impaurito come un bambino: non sa nuotare, si appoggia al canotto per bagnarsi.

Piano piano,entra in acqua fino alla vita e si piazza cercando un equilibrio sulle gambe malferne.

Grida spaventato: “Non mi toccate!!!”

Poi si rilassa, e ride, una di quelle risate sue di gusto e canta:

“VIVEREEEE Senza Malinconiaaaa!” 

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